Riflessione sul Cantico dei Cantici

 

 

Con buona pace e profondo rispetto per i (grandi) traduttori del passato e del presente, la potenza evocativa che ha il testo nella lingua in cui nasce (qualunque essa sia) è sempre irraggiungibile. Si dice che tradurre sia un po' tradire, e in parte è vero, perché al testo tradotto viene inevitabilmente a mancare la sonorità, la vibrazione della lingua d’origine, elementi essenziali soprattutto nella poesia. L’esempio perfetto, fra i tanti possibili, iniziando da livelli altissimi, direi celestiali è “l’Amor che move il sole e l’altre stelle” della “nostra” Divina Commedia. Una perfetta armonia tra significato e suono. Cosa analoga accade a un’altra famosissima “aria”, questa volta dalla ballata di Goethe l’Apprendista stregone (der Zauberlehrling). Nel film Fantasia di Walt Disney, l’apprendista maldestro è Topolino che scimiottando il maestro assente ordina alla scopa di portare i secchi d’acqua. Il montare dell’acqua, magnificamente riprodotto da quel “Walle, walle” si perde in quel “corri, corri”. Lo stesso dicasi per Schwalle (si noti la rima con walle) resa in italiano con fiotti.  

 

Walle! walle
Manche Strecke
Dass zum Zwecke,
Wasser fließe
Und mit reichem, vollem Schwalle
Zu dem Bade sich ergieße.

 

 

Corri! Corri per un tratto bello e buono, ché allo scopo scorra l'acqua, e con ricchi, pieni fiotti si riversi nella vasca!

 

 

Se questo principio di “inadeguatezza” vale per tutte le lingue - non sono sufficientemente competente per citare Shakespeare -  figuriamoci per l’ebraico biblico che pare essere governato non tanto da regole  grammaticali quanto spirituali.

 

Ed eccomi finalmente giunta al tema del post Il Cantico dei Cantici e la famosa espressione  Io sono del mio amato e il mio amato è mio tratta dal sublime Cantico dei Cantici. La vedete nell’immagine in originale evidenziata in giallo. Che suona così: ANI LE DODI VE DODI LI. Provate a ripeterla. È un dolce scioglilingua dove l’Io (ANI) che ama si fonde con l’amato.

 

Essenziale, quasi scarno, come era o sarà, a seconda della prospettiva, il Prager “minimalismo”, diametralmente opposto al barocco greco, l’ebraico fa a meno anche dei verbi ausiliari. Letteralmente sarebbe “Io del mio amato lui di me”. E volendo continuare con l’amore, in prossimità di San Valentino, come non ricordare la magnifica immagine del sigillo sul cuore e più avanti nello stesso verso “Forte come la morte è l’amore”.

 

 

Mi viene spesso chiesto “ma perché ti sei messa a studiare l’ebraico biblico”? Tra le righe, non dette,  si intuisce un “ma chi te lo ha fatto fare”?

 

Bene quanto sopra brevemente detto credo sia sufficiente a spiegare la mia passione.  Studiare l’ebraico non è una passeggiata in riva al mare bensì un’ardua scalata per raggiungere vette non visibili all’inizio del cammino. Ma come mi ha detto di recente il mio brillante insegnante, Jehuda Cohen, un giovane e colto ebreo jemenita, Cristina non cercare di tradurre, per capire devi intuire! Pensa con il cuore!